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Biohacking: la guida completa per iniziare (con la mia esperienza)

    Oggi vorrei parlarti di biohacking, un tema a cui mi interesso da qualche anno e che reputo estremamente interessante per chiunque si dedichi alla propria crescita personale. Dopo aver divorato svariati libri, articoli e podcast sull’argomento, posso dirti che il mondo del biohacking è molto ricco e variegato, ragion per la quale è spesso difficile capire di cosa si tratti davvero e soprattutto distinguere le tecniche di biohacking serie e supportate dalla ricerca scientifica dalle idee più estreme, fantasiose e talvolta pericolose.

    Questa guida introduttiva al mondo del biohacking ti aiuterà a capire innanzitutto di cosa si tratta e come funziona, quali sono i benefici che potresti ottenere per migliorare la tua vita e come iniziare ad integrare il biohacking nel tuo percorso di crescita personale. Ti fornirò, inoltre, degli esempi concreti di tecniche di biohacking che puoi testare, condividendo le mie esperienze ed i miei test.

    Tempo di lettura: 16 minuti

    Cos’è il biohacking: definizione

    Il termine biohacking è un neologismo che deriva dall’unione delle parole inglesi “biology” e “hacking“. Questa analisi etimologica ci aiuta a capire una delle componenti fondamentali dell’universo del biohacking: l’analogia tra il nostro corpo ed un sistema informatico. Proprio come un hacker tenta di accedere alle istruzioni di un sistema informatico per manipolarlo a suo piacimento, il biohacker intende accedere alle istruzioni del “sistema operativo del nostro organismo” per migliorare salute, longevità e performance fisiche e cognitive. Come ben rileva Fabio Piccini nel suo “Tecniche di biohacking”:

    “Biohacking è un termine fantasioso per descrivere qualcosa di assolutamente concreto: una serie di interventi mirati ad ottimizzare il benessere e la salute dell’uomo. In pratica, hackerare il proprio corpo significa cercare di accedere alle istruzioni del sistema operativo della macchina uomo per modificarne l’output in senso migliorativo”.

    — Fabio Piccini in “Tecniche di biohacking”1

    In questo senso, hackerare il nostro corpo significa intervenire su vari aspetti della nostra biologia e fisiologia per migliorare salute, benessere e longevità.

    In realtà, non è impresa facile definire in modo esaustivo il biohacking, perché all’interno di questa corrente troviamo realtà abbastanza variegate. Una delle definizioni più interessanti che ho trovato è quella fornita da Dave Asprey, indicato spesso come uno dei papà del biohacking. Combinando quanto scrive nei suoi libri ed articoli, possiamo arrivare a queste definizione:

    “Il biohacking è l’arte e la scienza di cambiare l’ambiente fuori e dentro noi stessi, in modo da avere pieno controllo della nostra biologia, permettere di effettuare un upgrade del nostro corpo, della nostra mente e della nostra vita”.

    Dave Asprey in “SuperHuman”2

    In questa definizione troviamo molte indicazioni importanti:

    • la visione del biohacking come approccio a metà strada tra scienza ed arte;
    • la necessità di intervenire tanto su elementi interni (frequenza cardiaca, sonno, respirazione…) quanto esterni (l’ambiente che ci circonda, la temperatura, il cibo che ingeriamo…);
    • l’obiettivo dichiarato di ogni biohacker: migliorare la propria vita attraverso una serie di interventi mirati su corpo, mente e stile di vita.

    Seppure molto interessante, questa definizione non sottolinea abbastanza altre dimensioni importanti legate al biohacking. Analizziamo, dunque, gli altri principi di base del biohacking.

    I principi di base: come funziona il biohacking

    Guida al biohacking

    Le basi scientifiche del biohacking

    Uno degli aspetti del biohacking che mi affascina maggiormente riguarda le sue basi scientifiche. Molte tecniche di biohacking sono, infatti, supportate da svariati studi e ricerche condotte in ambito accademico. Sebbene sia necessario armarsi di scetticismo anche quando una tecnica sembra essere dimostrata da una ricerca sul campo, è indubbio che alcune tecniche di biohacking si appoggianeglino su basi scientifiche molto solide.

    Solo per citarne 3 di cui ho avuto modi di parlare in passato: gli effetti benefici di digiuno intermittente3, meditazione4 e respirazione5 sono supportati da tantissimi studi condotti in modo serio (nelle note ho inserito solo qualche esempio). Nei vari articoli che dedicherò al tema, non mancherò di citare studi a supporto delle varie tecniche illustrate.

    Non mancano invece le affermazioni fantasiose e non abbastanza supportate dalla ricerca che hanno portato molte persone a credere che il biohacking sia una pseudoscienza. Al biohacking sono, infatti, associate anche molto pratiche che non sono ancora state dimostrate da studi scientifici seri e rigorosi. Pensiamo a tutta la corrente del biohacking definita grinder, che prevede di hackerare il proprio corpo iniettandosi sostanze la cui efficacia ed innocuità non è stata ancora dimostrata o magari impiantandosi dei chip o dispositivi sperimentali. Queste pratiche sembrano uscite da un romanzo o film di fantascienza. Come vedremo, è possibile fare biohacking in modo sicuro, appoggiandosi su studi seri e senza trasformarsi in cyborg.

    L’importanza dei dati nel biohacking

    Al di là del termine divenuto molto alla moda, il biohacking descrive in realtà delle attività a cui gli appassionati di crescita personale ed in particolare salute e forma fisica si dedicano da tempo. Esistono, però, delle differenze sostanziali in termini di approccio e filosofia: una di queste riguarda l’importanza attribuita ai dati di biofeedback.
    Dedicarsi al biohacking significa, infatti, raccogliere ed analizzare una serie di dati in modo regolare e sistematico. Abbiamo sostanzialmente due tipi di dati da analizzare:

    1. Dati di tipo analogico (come la valutazione del proprio sonno al mattino, l’osservazione dei propri livelli di stress o ancora l’eventuale calo post-pranzo);
    2. Dati digitali (quali il battito cardiaco, la variabilità della frequenza cardiaca (HRV), la respirazione, le ore di sonno…)

    In particolare, da qualche anno a questa parte, possiamo raccogliere e monitorare facilmente tutta una serie di parametri vitali grazie ai dispositivi indossabili (in inglese wearables) quali l’Apple Watch, il Fitbit, gli orologi della Garmin, l’Oura Ring e tanti altri. Senza dimenticare tutte le app che ci aiutano a monitorare tutta una serie di parametri vitali.

    Applicazioni per il monitoraggio della salute.
    In questa immagine di alcuni esempi di dati che raccolgo e che tengo d’occhio regolarmente: l’HRV e il punteggio di readiness (prontezza) con Elite HRV, il punteggio del sonno con Fitbit e la frequenza cardiaca durante l’allenamento con (Polar Beat).

    Questi dispositivi sono capaci di analizzare non solo il nostro battito cardiaco (a riposo e in attività), ma persino valutare la qualità del nostro sonno, il nostro stato di salute psico-fisica, i nostri livelli di stress e di energia e tanto altro. La tecnologia ha facilitato, dunque, il compito di chiunque voglia dedicarsi al biohacking.
    Combinando i dati analogici e digitali, possiamo, dunque, analizzare in modo molto preciso lo stato di forma e salute del nostro corpo (per questo si parla di biofeedback) ed intervenire in maniera mirata.

    L’approccio olistico

    Un altro principio fondamentale del biohacking è l’approccio olistico che prevede di non basarsi su una sola dimensione per ottenere i risultati desiderati. Chi si avvicina al mondo del biohacking capisce ben presto che non esiste un intervento unico per migliorare la propria vita, ma che molti aspetti sono legati in particolare i cosiddetti 3 pilastri della salute: sonno, alimentazione ed esercizio fisico.
    Certo, ognuno potrà concentrarsi su un aspetto in particolare in un determinato momento della sua vita, ma nel medio-lungo termine sarà necessario prestare la necessaria attenzione a varie aree e ritagliarsi un piano su misura per ottenere i massimi risultati possibili in termine di salute e longevità.

    Biohacking e longevità

    Parleremo tra poco dei benefici che è possibile ottenere grazie al biohacking, ma è indubbio che uno di essi riguarda la longevità, ossia la capacità di una persona di vivere il più a lungo possibile. A tal riguardo, mi è sembrata molto interessante una considerazione di David Sinclair (un altro grande esperto dio biohacking) che nel suo interessantissimo libro “Longevità” scrive:

    “A mio avviso, ci sono pochi peccati così gravi come quello di prolungare la vita senza salute. Questo è importante. Non importa se possiamo estendere la durata della vita se non possiamo estendere la salute in egual misura. Quindi, se vogliamo fare la prima cosa, abbiamo l’obbligo morale assoluto di fare la seconda”.

    — David Sinclair in “Longevità”6.

    Si tratta di un’osservazione molto importante, perché se è vero che viviamo sempre di più, a cosa serve vivere più a lungo se gli ultimi anni sono rovinati da problemi fisici e malattie che rendono sgradevole la nostra esistenza? Nel biohacking, si cerca, dunque, di prolungare allo stesso tempo ed il più possibile la durata della vita e la durata degli anni in buona salute.

    Il ruolo della genetica e dell’epigenetica

    Concludo questa carrellata sui principi di base parlando di due dimensioni che rivestono un ruolo importante in un’ottica di biohacking: la genetica e l’epigenetica.
    Tutti sanno che ognuno di noi nasce con un patrimonio genetico ereditato dai propri genitori. È proprio la genetica a spiegare perché alcune persone sono più predisposte rispetto ad altre a contrarre alcune malattie cardiovascolari o a sviluppare cancri. Per molti studiosi, la predisposizione genetica è il fattore più importante in materia di longevità e salute.

    La tentazione potrebbe essere, allora, quella di pensare che non serve a nulla fare sport, dormire bene, non fumare e cercare di avere uno stile di vita sano: tanto è tutto scritto nel nostro DNA e se ci dobbiamo beccare un cancro, dipende solo dalla nostra predisposizione genetica. Nulla di più sbagliato ed è lì che il concetto di epigenetica diventa fondamentale. Ecco una definizione molto chiara:

    “L’epigenetica è quella scienza che studia il modo in cui l’ambiente interagisce con i geni che abbiamo ereditato controllandone l’espressione, ovvero la loro traduzione in istruzioni operative. Come dice la parola stessa – il prefisso epi significa in aggiunta – l’epigenetica studia il risultato delle modifiche che le interazioni ambientali imprimono al nostro potenziale genetico (il genoma)”.

    — Fabio Piccini in “Tecniche di biohacking”

    Senza entrare nel dettaglio, prendere in conto la dimensione epigenetica significa rendersi conto che l’ambiente esterno ed il nostro stile di vita hanno un impatto determinante sulla traduzione in realtà di eventuali predisposizione genetiche. Certo, forse sei più predisposto degli altri a diventare diabetico o contrarre un tumore, ma non significa che capiterà per forza. E soprattutto non capiterà se prendi in conto l’epigenetica e cerchi di adottare uno stile di vita che limiterà al massimo le probabilità di tradurre il corredo genetico in malattie.

    Queste considerazioni cambiano tutto e mettono a tacere tutti quei fumatori che si auto-giustificano dicendo “la nonna di un mio amico fumava un pacchetto di sigarette al giorno ed è morta a 96 anni” oppure “mio zio si è beccato un tumore ai polmoni ai 58 anni e non aveva mai fumato”. La realtà è molto più complessa e possiamo agire per cambiare quello che potrebbe sembrare un destino genetico già scritto. Almeno dobbiamo provarci.

    Perché dedicarsi al biohacking: quali benefici?

    Adesso è ora di passare alla parte più pratica di questa guida, in cui mi sembrava doveroso spiegare bene i principi di base del biohacking, soprattutto per chi non conosce bene questi temi.

    Parliamo, dunque, dei risultati e benefici che è possibile conseguire mettendo in pratica delle tecniche di biohacking. I benefici sono numerosi anche perché le tecniche di biohacking toccano tantissimi aspetti della nostra vita, ma vediamo insieme quali sono i motivi principali per diventare un biohacker:

    • aumentare la tua longevità;
    • migliorare il tuo stato di salute generale;
    • diventare più produttivo e concentrato;
    • sentirti meno stanco e quindi più riposato;
    • gestire meglio lo stress;
    • migliorare le tue performance sportive e cognitive;
    • essere di umore migliore;
    • avere più energia.

    Non male, no? A me basta già solo un mix dei primi due per giustificare un approccio di questo tipo: vivere il più a lungo possibile ed in un buono stato di salute.

    Le mie esperienze in materia di biohacking (qualche esempio)

    Prima di spiegarti come puoi iniziare, vorrei condividerti le mie esperienze in materia biohacking. Leggendo libri ed articoli sul tema, mi sono reso conto che nel mio percorso di crescita personale avevo già adottato una serie di abitudini che tanto hanno in comune con il biohacking. Mi è bastato, dunque, diventare più rigoroso nella raccolta dei dati e modificare alcuni comportamenti per adottare un approccio da biohacker. Ecco qualche esempio tra le varie tecniche che ho potuto sperimentare.

    Esercizio fisico: perché mi alleno prevalentemente in zona 2

    Ho sempre cercato di allenarmi con regolarità ma la mia unica regola era di fare sport almeno 3 volte a settimana. Negli ultimi anni, ho integrato una tecnica di biohacking il cui obiettivo è aumentare la longevità. In pratica, strutturo i miei allenamenti in modo da rimanere nella zona 2 per l’80% del tempo.
    Se non conosci le 5 zone di allenamento, ecco una spiegazione fornita da uno dei miei mentori in materia di biohacking:

    La zona 2 è uno dei 5 livelli di intensità usata dai coach e allenatori negli sport di resistenza per strutturare i programmi di allenamento dei propri atleti. Tipicamente, la zona 1 è una passeggiata nel parco e zona 5 (o 6 o 7) è uno sprint molto intenso. La zona 2 è più o meno la stessa in tutti i modelli di allenamento: andare ad una velocità abbastanza rapida in modo da mantenere una conversazione ma veloce abbastanza da essere un po’ affaticato”.

    — Peter Attia in “Outlive”7

    Perché lo faccio? Ne parlerò in un articolo “ad hoc” ma per il momento posso dirti che vari studi dimostrano che la zona 2 è quella che fornisce maggiori benefici per la salute e longevità.

    Alimentazione: perché pratico il digiuno intermittente una volta alla settimana

    Ho sempre fatto attenzione all’alimentazione ma non mi sarei mai sognato di digiunare per alcuni intervalli di tempo. Ebbene, è ciò che faccio ormai da tempo almeno una volta settimana praticando il digiuno intermittente 16/8. Vari libri e studi mi hanno convinto che astenersi dal mangiare periodicamente per almeno 16 ore può portarci grandissimi benefici.
    Per approfondire, puoi leggere una cronaca della mia esperienza: Esempio pratico di digiuno intermittente 16/8: la mia esperienza dopo 60 giorni

    Sonno: perché non dormo mai meno di 6 ore a notte e cerco di evitare l’alcol la sera

    Per quasi tutta la mia vita, non ho dato molto importanza al sonno anche perché per fortuna non ho mai sofferto di insonnia e ho sempre dormito benone.
    Dopo aver letto “The Miracle Morning” circa 7 anni fa (quando è nato il mio primogenito), ho iniziato a svegliarmi molto presto. A quel punto, ho effettuato una serie di test per scoprire quante ore potevo dormire.

    La letteratura scientifica è abbastanza unanime: in media dovremmo dormire 7-8 ore e mai meno di 68. Nel mio caso, ho sperimento varie durate compilando un diario del sonno. Alla fine, ho scoperto che il mio minimo indispensabile è 6 ore, che la durata ottimale è per me 6 ore e 30 e che non noto differenze se dormo di più.
    Oggi continuo a monitorare il sonno con attenzione, anche grazie ai dati che mi vengono forniti dal mio smartwatch (attualmente uso un Fitbit Inspire 3). In particolare, faccio attenzione a quanto tempo trascorro nelle diverse fasi di sonno ed al numero di risvegli notturni: ho constatato, ad esempio, che se bevo vino o birra la sera, mi risveglio più spesso e passo meno tempo nella fase di sonno profondo.
    Se vuoi approfondire questi argomenti, ti consiglio:

    Stress: come utilizzo esercizio fisico, respirazione e meditazione per tenere a bada lo stress

    Un altro parametro che cerco di monitorare con attenzione riguarda il livello di stress. Essendo a capo di un’azienda con tutte le responsabilità che ne conseguono, ho delle giornate molto stressanti e cerco di gestire questo stress al meglio per viverlo nel modo più sano possibile. Ecco le abitudini che mi aiutano di più:

    • fare esercizio fisico tutti i giorno o quasi
    • utilizzare la respirazione per influire sui miei livelli di stress (in particolare la tecnica del resonance breathing)
    • meditare al mattino per almeno 10 minuti

    Per misurare l’impatto di questa abitudini combino la raccolta di dati analogici (prendo nota di come mi sento all’inizio ed alla fine della giornata) e digitali (essenzialmente la variabilità della frequenza cardiaca o HRV e gli altri dati che forniti dai dispositivi indossabili e dalle app che uso).

    Come iniziare a fare biohacking: primi passi per diventare un biohacker

    Per iniziare a fare biohacking, il primo passo è stabilire quali sono i nostri obiettivi principali in modo da poter scegliere le nostre priorità. In generale, posso consigliare questi primi passi per iniziare ad integrare il biohacking nel tuo percorso di crescita personale:

    1. Inizia a monitorare i dati con un rilevatore di attività (activity tracker): per farlo dovresti acquistare un bracciale smart o uno smartwatch per monitorare frequenza cardiaca, respirazione, temperatura, quantità/qualità del sonno, frequenza, peso, indice della massa corporea ed intensità degli allenamenti. In attesa di un articolo dedicato ai migliori dispositivi in circolazione, posso dirti che personalmente ho scelto un Fitbit Inspire 3 ed una fascia toracica Polar H9 per avere misure più affidabili della frequenza cardiaca e soprattutto dell’HRV. Entrambi hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo.
    2. Raccogli i dati in un’app per poterli seguire nel tempo: ogni dispositivo ha di solito un’app dedicata (per es. l’app per il Fitbit) ma il mio consiglio è di usarne una esterna in cui aggregare tutti i dati. Alcuni esempi sono Google Fit, Apple Health, Logg e Exist. Un’alternativa è usare un’app come Notion ed Evernote per segnarci manualmente i dati rilevati (ovviamente è l’opzione più dispendiosa in termini di tempo).
    3. Sperimenta cambiamenti di stili di vita (uno alla volta): a questo punto possiamo iniziare i nostri test, rigorosamente uno alla volta per non rischiare di sentirci sopraffatti. Qualche idea molto semplice per iniziare
      • Sonno: inizia ad ottimizzare il sonno perché è uno degli aspetti più importanti. Osserva come il tuo stile di vita influisce sulla qualità del tuo sonno;
      • Meditazione: in seguito, puoi testare la meditazione ed osservare gli impatti sul tuo umore e suoi tuoi livelli di stress;
      • Alimentazione: sperimenta il digiuno intermittente 16/8;
      • Stile di vita: esponiti alla luce solare per almeno 10-15 minuti al giorno per rafforzare il sistema immunitario e migliorare l’umore o studia i tuoi ritmi circadiani per ottimizzare le tue performance;
      • Respirazione: prova delle tecniche di respirazione per rilassarti, ridurre lo stress ed addormentarti più facilmente;
      • Esercizio fisico: inserisci degli esercizi aerobici come corsa o bicicletta nei tuoi allenamenti (almeno 90 minuti a settimana in 2 o 3 sessioni).
    4. Analizza i risultati e modifica il tuo stile di vita in funzione di essi: stabilisci una finestra temporale per i tuoi esperimenti (consiglio 1-3 mesi) e trai i tuoi bilanci. Se un cambiamento risulta benefico, integralo nel tuo stile di vita, tentando di trasformarlo in abitudini (per approfondire leggi la mia sintesi di “Atomic Habits” di James Clear”).
      Se invece non noti miglioramenti o benefici puoi semplicemente al prossimo esperimento.

    Esempi di tecniche di biohacking più avanzate

    Questa guida è dedicata ai principianti, ma per completezza è necessario citare delle tecniche di biohacking più avanzate:

    • prendere integratori alimentari (omega 3, aminoacidi, vitamina B12, magnesio…);
    • esporsi deliberatamente al freddo (docce fredde, bagni in acqua gelata, crioterapia, esercizio fisico all’esterno quando fa molto freddo…);
    • praticare il digiuno intermittente per un periodo che vada oltre le 16 ore;
    • seguire una dieta mima-digiuno periodica;
    • trattamenti con lampade solari o infrarossi.

    Alcune rientrano invece nella tecniche più estreme o sperimentali (e per questo potenzialmente pericolose):

    • imporsi una drastica restrizione calorica (ossia ridurre la percentuale di calorie assunte ogni giorno);
    • sottoporsi ad una terapia a base di naltrexone o LND;
    • assumere nootropi o altre sostanze di cui non conosciamo ancora bene tutti i vantaggi e pericoli (resveratrolo, sirtuine, metformina…)

    Conclusioni sul biohacking

    Eccoci giunti alla fine di questa guida introduttiva al biohacking in cui ho voluto fornire una panoramica sull’argomento senza entrare nello specifico. Ho in programma vari articoli per approfondire le varie tecniche, fornirti spiegazioni più complete e darti dei consigli più pratici.




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    Fonti e riferimenti

    1. “Tecniche di biohacking. Come ottimizzare il metabolismo per incrementare salute e longevità”, Fabio Piccini, Amazon KDP, 2019.
    2. “Super Human: The Bulletproof Plan to Age Backward and Maybe Even Live Forever”, David Asprey, 2019, Thorson.
    3. Vasim I, Majeed CN, DeBoer MD. Intermittent Fasting and Metabolic Health. Nutrients. 2022 Jan 31;14(3):631. doi: 10.3390/nu14030631. PMID: 35276989; PMCID: PMC8839325.
    4. Schutte NS, Malouff JM, Keng SL. Meditation and telomere length: a meta-analysis. Psychol Health. 2020 Aug;35(8):901-915. doi: 10.1080/08870446.2019.1707827. Epub 2020 Jan 5. PMID: 31903785.
    5. Schünemann HJ, Dorn J, Grant BJ, Winkelstein W Jr, Trevisan M. Pulmonary function is a long-term predictor of mortality in the general population: 29-year follow-up of the Buffalo Health Study. Chest. 2000 Sep;118(3):656-64. doi: 10.1378/chest.118.3.656. PMID: 10988186.
    6. “Longevità. Perché invecchiamo e perché non dobbiamo farlo”, David Sinclair, 2020, Edizioni Verduci”
    7. “Outlive. The Science & Art of Longevity”, Dr Peter Attia, 2023, Vermillion (trad. mia).
    8. “Perché dormiamo”, Matthew Walker, Espress Edizioni, 2019

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